Alla fine della seconda guerra mondiale la città di Napoli era priva di tutto, anche la pizza napoletana era diventata quasi un lusso: per farla ci voleva il forno a legna e poi andava condita con la mozzarella e il pomodoro, che spesso non si trovavano e comunque costavano. Ci voleva qualcosa di facile da fare per chi doveva venderlo, e di economico per chi doveva comprarlo, per questo viene vista come sorella povera della pizza al forno. Famosa era la “pizza a otto”, mangiata subito ma pagata dopo otto giorni. Fu così che il napoletano inventò la “pizza fritta”, definita anche “pizza del popolo” perché venduta per le strade dalle donne, per arrotondare l’economia familiare del dopoguerra.
Della pizza napoletana fritta e del periodo del suo massimo fulgore è rimasta una testimonianza illustre nell’episodio de “L’oro di Napoli“, diretto da Vittorio De Sica, in cui Giacomo Furia, venditore di pizze fritte, va all’affannosa ricerca di un anello che la moglie infedele (Sophia Loren) finge di aver perso nell’impasto.[1]
Attualità
oggi è un piatto tradizionale sia della cucina napoletana sia dello streat food napoletano si può gustare in diverse pizzerie e ve ne sono alcune che fanno solo questo tipo di pizza come le figliole o zia esterina (d’asporto) la caratteristica soprattutto quando viene servita al tavolo e che una volta ordinata il cameriere vi pone una sola domanda e vi chiede: completa? se si, dentro c’è tutto, salame, cicoli(misto d’insaccati di porco), ricotta, mozzarella pomodoro pepe e sale